LA CHIESA ROMANICA E L’AFFRESCO QUATTROCENTESCO
DI S. MARIA IN SILVIS DI VALLE AVELLANA
(Francesco V. Lombardi)
La collocazione topografica, ambientale e viaria
In epoca moderna e fino a pochi anni fa, anche in sede locale quasi nessuno conosceva l’esistenza di una chiesetta in grave stato di abbandono, dedicata a Santa Maria, con l’aggiunta del caratteristico locativo ‘in Silvis’, che perpetuava la sua antica denominazione derivante dal latino.
Eppure essa era segnata sulle carte dell’Istituto Geografico Militare 1:25.000 e anche 1: 100.000, nel quadrante di Sassocorvaro, in provincia di Pesaro e Urbino. Dall’Unità d’Italia, assieme al vicino castello di Valle Avellana[1], il luogo è stato ricompreso proprio nel comune di Sassocorvaro[2]. Annessa alla chiesetta c’era una casa, forse un tempo abitazione del rettore, e poi di una famiglia colonica. Poco distante c’era un’altra casa rurale, ora scomparsa.
La posizione di questo piccolo nucleo si trova su una balza pianeggiate, a 439 metri sul livello del mare, con ripidi pendii su tre fronti che si affacciano panoramicamente sulla media vallata del fiume Foglia, fra Casinina di Auditore e Bronzo di Sassocorvaro. Proprio di fronte, verso ovest, si prospetta ancora pressoché intatto, il nucleo castellano murato con porta gotica di Valle Avellana (m. 370). A nord si erge la dorsale del Monte di S. Giovanni con la sommità detta Osteriaccia (m. 631). Già il nome stesso evoca un punto di ricovero e di accoglienza della viabilità antica in una landa montagnosa priva di abitazioni.
In effetti, quando la più frequentata direttrice di collegamento fra la vallata fogliense e quella del Conca, che passava più a ovest lungo l’asse M. Altavelio – S. Croce – Bronzo, era interrotta a causa di tensioni politico – militari fra i signori di Rimini e quelli di Urbino ( M. Altavelio infatti era dei conti di Montefeltro ), allora la viabilità dei sudditi e degli alleati dei Malatesti si spostava su questo corridoio parallelo facendo perno su Valle Avellana e S. Maria in Silvis. Dal fondovalle – ove c’era e c’è ancora la Celletta – la strada saliva lungo il corso d’acqua chiamato Rio Petroso proprio dal castelletto di cui ancora rimangono i ruderi. Ma per evitare il castello di Valle Avellana, luogo militare, c’era una deviazione sulla destra che saliva alla chiesetta di S. Maria in Silvis, per ricongiungersi con quella che passava sotto le mura del castello principale.
Di qui si saliva al Passo detto ‘del Trabocco’[3] e poi si poteva percorrere agevolmente l’altipiano fino al Trebbio, per scendere verso Molino Renzini, sul fiume Conca e proseguire oltre S. Maria del Piano e Montescudo per Rimini. Dal passo del Trabocco si poteva scendere anche lungo il Ventena di Castelnuovo, passando sotto Torricella, fino all’incrocio con la ‘Strada petrosa’ fra S. Pietro in Cotto di Morciano e Monte Fiore.
Ma anticamente doveva esservi anche una strada di alta costa lungo il versante sinistro del fiume Foglia che collegava Auditore ( m. 375) con Valle Avellana ( m. 370) e i centri dell’alta Fogliola e poi del Conca, passando appunto per S. Maria in Silvis. Ora tutta la zona appare sconvolta da una antica frana, che conserva il ricordo nel toponimo di Ca’ Arpina, cioè Casa della Rupina.
Ecco quindi l’importanza e la spiegazione della funzione che aveva questa piccola cellula religiosa che a prima vista ora appare sperduta in mezzo ad un territorio disabitato e un tempo -per di più- sicuramente boscoso[4]. Ma nel medioevo i mezzi di collegamento erano ben diversi da quelli della locomozione moderna. Allora si andava solo a piedi o con cavalcature e le mulattiere erano le strade paritariamente frequentate da papi, re, imperatori, pellegrini e mercanti, artisti girovaghi e viandanti, povera gente e mendicanti.
La rupe tufacea su cui e stata costruito l’oratorio di Santa Maria in Silvis
Le notizie storiche.
Fino ad ora la documentazione storica su questa chiesa è del tutto scarsa. Si sa solo che non era parrocchiale, ma cappella semplice, cioè non aveva cura d’anime. Quindi non aveva un parroco o rettore, ma solo un cappellano curato, provvisto di qualche bene immobile di dotazione ecclesiastica. La chiesetta dipendeva dalla non lontana parrocchia di S. Giorgio di Valle Avellana, che forse anticamente era situata dentro il castello, e che fu poi ricostruita lungo la strada che sale verso monte, su un rialzo del terreno.
Una inedita visita pastorale del vescovo di Rimini, Mons. Salicini, attesta che il 16 di marzo 1594 egli si fermò nella chiesa parrocchiale di S. Giorgio di Valle Avellana e che il giorno seguente si recò in quella di S. Maria in Silvis, retta dallo stesso parroco, rilevando che non erano stati ancora messi in atto i decreti del Concilio di Trento e ordinando di fare l’imagine della Madonna. Notizie di altre visite pastorali saranno riportate in altri contributi di questo libro.
L’unico accenno a stampa conosciuto è nel ‘Trattato de’ luoghi pii e de’ Magistrati di Rimino’, pubblicato nel 1617 da Cesare Clementini. In esso sono citate due volte le chiese di S. Bartolomeo di Rio Petroso e di S. Maria di Terra Rossa ( cioè la nostra chiesa ) oltre quella di S. Giorgio di Valle Avellana[5]. Il toponimo di ‘Terra Rossa’ usato in quei tempi derivava dalla natura e colorazione del terreno arenaceo che presenta una tonalità che tende all’ocra.
Ma se S. Maria non fu mai parrocchia, viene spontaneo chiedersi quando, come e perché essa fu fondata. Si può tentare di rispondere a queste domande, considerando che essa si trovava su un luogo di transito, che in origine doveva esserci solo una piccola celletta di ricovero dei viandanti, che fu poi ingrandita, abbellita e dotata di beni terrieri. Questo fatto può essere collegato solo a qualche evento miracoloso che ha indotto qualche facoltoso benefattore a far erigere in quel posto – come un piccolo santuario- un isolato gioiello di architettura romanica fra il XII e il XIII secolo, di cui rimangono a testimonianza varie parti residue.
Un piccolo edificio sacro di origine romanica
Fra la metà del 1100 e i primi decenni del Duecento tutta questa fascia montana medioadriatica fu percorsa da una seconda ondata di maestranze itineranti di artefici che provenivano dal nord Italia, e che costruivano edifici religiosi – grandi e piccoli- secondo lo stile che fu poi denominato romanico, perché si richiamava ai canoni dell’antica arte romana[6].
L’originaria chiesa di S. Maria in Silvis fu costruita da un gruppo di questi mastri muratori. Ne fanno fede alcune residue parti dei paramenti murari che ancora si presentano con belle pietre squadrate di arenaria color ferrigno, di cava locale, magistralmente congiunte insieme con un invisibile velo di calce; ne fa fede l’originario portale laterale sud, sormontato da un arco a pieno centro; ne fa fede la vicina finestrella centinata con un monolito della stessa pietra: e infine il grande arco trionfale che delimitava la tribuna, ora innestato nella muratura della facciata d’ingresso.
Occorre subito rendersi conto che l’allineamento della originaria costruzione sacrale era disposto sull’asse ovest – est, cioè con l’entrata ove è ora l’altare e con l’abside ove è ora la porta. Questo fatto rientra in un modo consueto di costruire le chiese da parte di committenti religiosi medievali e di costruttori d’epoca romanica. L’abside era rivolta a oriente per il mistico raccoglimento in preghiera verso i luoghi santi della cristianità, ma aveva anche lo scopo pratico di far entrare dalle finestrine svasate i primi chiarori dell’alba ed i primi raggi del sole nascente per lo svolgimento delle funzioni mattutine.
Di ciò si ha anche una testimonianza concreta: nel corso dei recenti restauri è stato rilevato e messo in luce, sia all’esterno che all’interno della attuale facciata d’ingresso, il già ricordato grande arco in belle pietre squadrate e sagomate di arenaria. Altro non era che l’attacco dell’abside semicircolare che era rivolta verso oriente. La chiesa quindi ad una certa epoca è stata girata all’incontrario.
All’interno si nota che entrambe le pareti terminali della piccola zona del nuovo altare erano affrescate, e forse anche la piatta parete di fondo. Se in quella di destra fu fatto l’affresco che ci è rimasto, della Madonna col Bambino risalente ai primi anni del ‘400, allora vuol dire che già in tale epoca la disposizione della chiesa era stata capovolta, con l’ingresso a est e con la parte dell’altare verso ovest. Si tratta di un fenomeno abbastanza diffuso che ha modificato l’assetto di molte chiese romaniche e gotiche per ristrutturazioni causate da eventi sismici o da deterioramenti climatici.
Poi, verso il 1600 la chiesetta fu di nuovo ristrutturata in più punti, forse a seguito di un parziale crollo. All’interno, lungo tutto il sottotetto fu abbellita da una cornice di stucco e venne del tutto imbiancata. Sotto tale copertura fu nascosto anche il nostro dipinto fino agli anni dell’ultima guerra, quando poco a poco la scialbatura fu corrosa dagli agenti atmosferici e la pittura a tempera (che impropriamente continueremo a chiamare affresco) ritornò alla luce.
Ma proprio in tale epoca le porte vennero scardinate, il tetto cominciò a deperire e a cadere a pezzi: all’interno della chiesa, vicino al portoncino laterale meridionale si interrò un seme di una pianta locale che germogliò: l’alberello in cerca di luce fece uscire il proprio fusto dalla apertura di questa porticella, così come dimostra la foto che fu scattata in occasione della prima nostra visita. Il pavimento allora era stato sacrilegamente sconnesso, violando le tombe sotterranee, da parte di ‘sciacalli’ che cercavano improbabili ‘tesori’. L’informazione avuta dall’amico Angelo Chiaretti, che mosse allora l’interesse di chi scrive, fu quella che un pregevole affresco veniva preso a sassate nel corso di riunioni notturne da parte di ‘vandali’, e che la gente del posto riteneva che vi si facessero le ‘messe nere’. Mentre le autorità locali, Comune e Comunità Montana, si dedicavano a dare lustro al paese di Sassocorvaro con l’invenzione dell’ e con l’istituzione del , nel loro territorio si consumava questo deprecabile misfatto su un’opera d’arte.
Il quattrocentesco affresco deturpato di S. Maria in Silvis.
A chi lo vide per la prima volta nel marzo del 1995, illuminato dal sole che batteva nella parete destra della chiesa, entrando a cielo aperto dal tetto non più esistente, l’affresco si presentava con i colori alquanto sbiaditi, che tendevano al color ocra, ma lo si poteva cogliere a colpo d’occhio in tutta la sua bellezza.. La Madonna, in posizione frontale, aveva il volto statico, dal colorito perlaceo, dalle fattezze e dai lineamenti perfetti: la bocca piccola e ben disegnata, gli occhi magistralmente segnati , le ciglia rimarcate quasi come con una moderna matita estetica; le pupille vive, dolci, ma fisse; le sopracciglia arcuate, quasi modernamente rifilate. Così la immaginazione del solitario visitatore l’ha memorizzata, guardando solo la parte sinistra del dipinto, scattando le poche diapositive rimaste. Queste poi hanno rotto l’incanto perché purtroppo la parte speculare destra del viso vi appariva irrimediabilmente perduta per una sacrilega ferita di colpi che avevano intaccato tutta la pellicola pittorica fino al nudo intonaco.
Il viso era incorniciato da una miniata aureola circolare e dalla fronte scendevano fin sulla veste trapunta di stelle i lembi del velo che copriva il capo. Con ogni probabilità la figura della Vergine, scomparsa nella parte inferiore, si presentava seduta, forse in trono, secondo un modello consueto fra il Duecento e gli inizi del Quattrocento. Sulle ginocchia appariva seduto di profilo, voltato da sinistra verso destra -rispetto a chi guarda- il Bambino Gesù, coll’aureola e i capelli ondulati. Anche parte del piccolo viso è andata sacrilegamente perduta. Ma è rimasto ben integro il grazioso particolare delle mani. Su quella di sinistra è posato un piccolo uccello – sembra un falchetto – che col becco si protende a pizzicare il dito della mano destra che il Bimbo gli porge.
Forse nessun altro simbolo meglio di questo avrebbe potuto caratterizzare l’intitolazione della chiesa dedicata a S. Maria ‘in Silvis’.
Il pannello di fondo è costituito da una tenda con motivi a broccato, con pieghettature che rivelano una certa professionalità dell’arte pittorica. Un frammento di fascia a decorazione analoga sta a testimoniare che la raffigurazione era racchiusa in un riquadro ornamentale, secondo una tipologia consueta degli affreschi devozionale fra Trecento e Quattrocento.
Ma ciò che desta meraviglia è la squisita fattura del volto della Vergine, quello che veramente può dare l’avvio alla ricerca dell’autore del dipinto.
L’attribuzione dell’affresco.
In mancanza di documenti sulla antica committenza delle opere d’arte, la ricerca di ogni autore va necessariamente fatta sui caratteri stilistici che rivelano una mano d’artista o della sua scuola: si tratta di ricercare una firma non firmata. Dal punto di vista storico, la presenza di un affresco è della massima importanza, perché esso testimonia senza ombra di dubbio la presenza in loco del pittore, e quindi il caso è ben diverso da quello di una tavola dipinta, opera di bottega, che poteva essere stata realizzata in un luogo e trasportata anche lontano per committenza, vendita, furto o altro. In questo caso l’affresco di S. Maria in Silvis è stato fatto proprio per questa chiesa.
Nel convegno di studi, promosso da chi scrive, tenutosi a Sassocorvaro il 6 ottobre 1996 su ‘La pittura nel territorio di Sassocorvaro dal ‘300 all’800’, Maria Rosaria Valazzi – della Soprintendenza ai Beni artistici e storici delle Marche – ha svolto una relazione su ‘Il salvataggio e il recupero di un affresco del ‘400 a Valle Avellana (1995)’. In quella sede l’illustre studiosa ha attribuito l’affresco alla Scuola umbro – marchigiana.
La ulteriore ricerca stilistica dell’autore di quest’opera ha portato ad individuare uno dei nomi più noti della pittura umbra degli inizi del ‘400: cioè Giovanni di Corraduccio da Foligno, detto il Mazzatosta.
In un documento del 6 aprile 1415 ‘Magister Johannes Coradutii de Fulgineo’ promette di decorare nello spazio di tre mesi tutta la Cappella di S. Croce nella chiesa di S. Venanzo di Fabriano[7]. Ancor oggi nella stessa parte della chiesa, ora Cattedrale, sono conservati un paio di frammenti di una Crocifissione[8]. Due ‘Pie Donne’ sorreggono la Vergine in deliquio per il dolore: quella di sinistra, a viso frontale, rivela i caratteri somatici che poi saranno ripresi nel volto della Madonna di S. Maria in Silvis. Ma la conferma di questa circolarità di attribuzione: documentazione dell’artista > ciclo pittorico si S. Croce di Fabriano > affresco di S. Maria in Silvis, viene da un’altra stupenda pittura murale: la Madonna col Bambino della chiesa dei Frati Minori di Massa Fermana (AP)[9]. Qui, il Bambino Gesù ha nella mano un piccola rondinella. Oltre a ciò questa raffigurazione è del tutto analoga alla Madonna col Bambino del Palazzo Comunale d Montefalco (PG), pure attribuita a Giovanni di Corraduccio da Foligno. Qui il Bambino tende la mano verso un pulcino che esce dall’uovo tenuto in mano dalla Madre[10]. Si tratta di una fra le più commoventi simbologie della maternità.
Tutte queste composizioni, con lo stesso tema della Madonna in posizione frontale e col Bambino in braccio, riecheggiano le connotazioni tipologiche della Madonna di S. Maria in Silvis, anche se qui il Bambino è rivolto da sinistra verso destra. Rispetto alle perecedenti rappresentazioni nel nostro esemplare il pittore ha disposto in senso inverso il cartone traforato che serviva per delineare le sagome delle figure sul muro, spruzzandovi la polvere di gesso o di carbone come traccia per la successiva stesura del colore.
Sicuramente tutte sono databili al primo o secondo decennio del Quattrocento. Si avrebbe con ciò una riprova che Giovanni di Corraduccio spaziava nei suoi viaggi, non solo per l’Umbria, ma anche nelle basse e medie Marche ed era perfino risalito a nord in un lembo della diocesi di Rimini incuneato nell’alta Marca, come appunto il territorio di Valle Avellana. D’altra parte, già Federico Zeri ha ampiamente mostrato come il pittore di Foligno conoscesse bene modi e stilemi artistici dei pittori riminesi della fine del Trecento e come era stato certamente influenzato dalle opere di Carlo da Camerino[11].
Questo territorio fu costantemente incluso nella diocesi di Rimini dall’alto medioevo ai giorni nostri[12]. Era quindi naturale che rientrasse nell’area di influenza comitativa del potente comune riminese anche prima dell’avvento della grande signoria dei Malatesti (1292). Da tale epoca in poi Valle Avellana costituì uno dei principali castelli di frontiera dello stato malatestiano. Nella ‘Descriptio Romandiole’ fatta fare nel 1371 dal cardinale Anglic Grimoard. si riporta che nel comitato della città di Rimini vi è anche ‘Castrum Vallis Avellane’ nel quale risiedono 14 famiglie tassabili[13].
Sono note le secolari vicende di conflitti fra i Malatesti e i conti di Urbino che possedevano numerosi castelli di ostruzione della Valle del Conca ( M. Grimano, M. Altavelio) e nella valle del Foglia ( Frontino, Belforte ). Quindi in certi periodi particolari, come si disse, di tensioni politiche, religiose e di ostilità militari questa proiezione del territorio riminese fino alle rive del fiume Foglia, ebbe anche la funzione di corridoio continuo di passaggio e di collegamento sicuro da Rimini verso la Valle del Tevere (cioè Sansepolcro e Roma) attraverso i territori dei fedeli alleati Brancaleoni, cioè Sassocorvaro, S. Angelo in Vado e Mercatello.
Su questa direttrice oltre che i soldati, i mercanti, i pellegrini, erano passati i pittori riminesi della prima metà del Trecento per andare ad Assisi ed a Roma a vedere e imparare le nuove forme d’arte espresse da Cimabue e da Giotto[14].
Nel 1404 c’era passato un ambasciatore fiorentino, Rinaldo degli Albizzi, che ha lasciato scritto ‘…Domenica adì 25 di maggio, partii da Rimini, albergai a Saxcorbaro; adì 26 a Mercatello a desinare’. Poi valicò l’Appennino, verso Sansepolcro e Firenze[15].
Quattro anni dopo, nel 1408, in senso contrario si registra il passaggio di papa Gregorio XII (al secolo Angelo Correr)[16], che ebbe il coraggio di rinunziare poi alla tiara pontificia per l’unità della Chiesa. Il 27 ottobre il corteo papale parte da Sansepolcro, passa per Mercatello e Sassocorvaro (Mercatale); il 1 novembre è a Monte Scudo[17] e il 3 successivo entra a Rimini[18]. Ecco che allora si ha la conferma della funzione che aveva S. Maria in Silvis proprio negli anni in cui fu dipinto l’affresco. Al seguito del corteo papale c’era anche il pittore Giovanni di Corraduccio da Foligno?
[1] Sul castello medievale di Valle Avellana manca ancora uno studio specifico. Per ora cfr. AA. vv., Rocche e castelli di Romagna, III, Bologna 1972, pp. 344-345.
[2] G. ALLEGRETTI, Mutazioni circoscrizionali nei comuni di Montefeltro e Massa (1814 – 1823), in ‘Studi Montefeltrani’, 4 (1976), p. 32, quadro IV, p.40.
[3] Archivio di Stato, Pesaro, Legazione Apostolica, Lettere delle Comunità, Montefeltro, b. 82 (1707. Scriveva il Podestà di Tavoleto a data 17 giugno 1707: ‘ Strada del Trabocco fra il Castello di S. Giovanni e quello di Valle Avellana. Strada veramente publica, non solamente assaissimo pericolosa nel transito, quanto fa tremare lo spirito il vederla dal gran precipitio’.
[4] A monte della chiesetta, nell’ultimo dopoguerra è stato fatto un rimboschimento di terreni abbandonati con improprie piantagioni di conifere.
[5] C. CLEMENTINI, Raccolto Istorico della fondatione di Rimino e dell’origine et vite de’ Malatesti, vol. I, Rimini 1617, allegato pp. 18-19.
6 F. V. LOMBARDI, L’architettura romanica e gotica, in AA. vv., Il Montefeltro – 1. Ambiente, storia e arte nelle alte valli del Foglia e del Conca, Villa Verucchio 1995, p. 253. L’autore non conosceva ancora questo rudere.
[7] A. ROSSI, Una visita all’Archivio Notarile di Fabriano, in ‘Giornale d’erudizione artistica’, II (1873 ), fasc. I, p. 81.
[8] B. MOLAIOLI, Nota su Giovanni di Corraduccio da Foligno, in ‘Rassegna Marchigiana’, IX (1930-31), pp. 33-37.
[9] Soprintendenza alle Gallerie e Opere d’Arte delle Marche, Mostra di opere d’arte restaurate, Urbino 1967, n. 4, pp. 13-14, fig. 5 ( F.A.G. ). L’attribuzione fu allora riferita a un ‘Pittore Camerte degli inzi del sec. XV’. Puntuale l’assegnazione a Giovanni di Corraduccio in M. BOSKOVITS, Osservazioni sulla pittura tardogotica nelle Marche, in AA. vv., Rapporti artistici fra le Marche e l’Umbria (Convegno di studio Fabriano -. Gubbio 8-9 giugno 1974), Deputazione di storia patria per l’Umbria Perugia 1977, in particolare pp. 40-44 e tav. 30.
[10] Ivi, tav. 31. Una recente verifica sull’originale, commissionata ad un esperto d’arte, ha rivelato che l’opera è stata in quel punto restaurata, ma che ‘si distingue abbastanza chiaramente la forma dell’uovo con una macchia in alto’. L’opera più completa sul pittore è: Giovanni Di Corraduccio, Catalogo della mostra fotografica, Moltefalco agosto 1976, a cura di P. Scalpellini, Foligno 1976. Per altri confronti si vedano in essa, p. 116 fig. 30: la Madonna con Bambino (che tiene sulla destra una piccola colomba), Castelbuono di Bevagna; p.240 fig. 107, Montefalco, San Francesco; p. 252, fig. 120: Volto della Madonna, Foligno Pinacoteca; p. 258, fig. 126, Foligno San Salvatore.
[11] F. ZERI, Un’aggiunta a Giovanni di Corraduccio, in IDEM, Diari di lavoro, Torino 1976, ora in IDEM, Giorno per giorno nella pittura. Scritti sull’arte dell’Italia centrale e meridionale dal Trecento al primo Cinquecento, Torino 1992, pp. 62-63. Per le opere di Carlo da Camerino nella zona cfr. F. V. LOMBARDI, Due opere di Giovanni Baronzio e di Carlo da Camerino da Macerata Feltria a Urbino, in AA.vv., Il Convento di S. Francesco a Macerata Feltria, (Atti del Convegno di Studi 30 agosto 1981), San Leo 1988, pp. 111-131. IDEM, La trecentesca croce dipinta di Carlo da Camerino a Macerata Feltria, in ‘Studi Montefeltrani’, 15 (1988), pp. 5-37. Per una tendenziale attribuzione divulgativa a Carlo di Camerino dell’affresco di Massa Fermana e di un altro nella Pinacoteca di Ancona, pure assimilabile a quello di S. Maria in Silvis, cfr. A. STRAMUCCI, Conosci le Marche, Guide turistiche, Rimini 1974: Ascoli Piceno, p. 104; Ancona, p.23.
[12] L. TONINI, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini 1862, pp. 104, 134, 608-614, 623-626.
[13] L. MASCANZONI, La ‘Descriptio Romandiole’ dl Card. Anglic. Introduzione e testo, Bologna 1985, p. 247. Per una comparazione viciniore si faccia mente locale che Rio Petroso aveva 6 famiglie, Auditore 21, Tavoleto 30, Ripa Massana 6, Torre (cioè Torricella) 9.
[14] P. G. PASINI, La pittura riminese del Trecento, Milano 1990.
[15] R. DEGLI ALBIZZI, Commissioni per il Comune di Firenze, a c. di C: GUASTI, n. VIII, Firenze 1867.
[16] L. ZANUTTO, Itinerario del Pontefice Gregorio XII da Roma (9 agosto 1407) a Cividale del Friuli (26 maggio 1409), Udine 1901, p. 72. E’ del tutto fuori di logica storica e topografica l’ipotesi qui fatta, sulla base di una indicazione di C. Tonini, secondo cui il papa passasse per Urbino. In primo luogo perché il conte Guidantonio da Montefeltro era favorevole all’antipapa Benedetto XIII; in secondo luogo perché non si spiegherebbe il passaggio per Montescudo, che era del tutto fuori del tracciato naturale Urbino – Monte Fiore – Rimini, ed era invece allineato con quello Sassocorvaro – Rimini. Ma cfr. anche la nota seguente sull’informazione che i sammarinesi ritengono di dare al forse ignaro conte Guidantonio del passaggio del papa da Montescudo. Inoltre è noto che, a garanzia della sicurezza del viaggio del papa, la Signoria di Firenze aveva dato in ostaggio ai Brancaleoni 16 giovani delle migliori famiglie, i quali erano custoditi proprio nella rocca di Sassocorvaro. ZANUTTO, Itinerario cit., p. 59, nota 2.
[17] A. BELLU’, Serie di documenti dell’Archivio di Stato di San Marino, in ‘Le Signorie dei Malatesti. Atti della Giornata di studi a San Marino’, Rimini 1991, pp. 60-61: lettera dei Capitani reggenti al conte Guidantonio di Urbino: ‘Avimo presentido che ‘l Sancto Padre gionse a Monte Schudolo giòbia (giovedì) sera proxima passada et che ancho senza fallo va in Arimino’.
[18] L. NARDI, Cronotassi dei Pastori della S. Chiesa riminese, Rimini 1813, p. 194 (458).